Diviso tra il New Jersey e Genova, sua città natale, il chitarrista italiano, inserito a pieno titolo nel circuito internazionale dei virtuosi dell'acustica, è un vero artista indipendente, come pochi in Italia meriterebbero di essere definiti. Continuamente on the road con la sua inseparabile manager/produttrice e compagna di vita Federica Calvino Prina, Gambetta era tornato in Italia (ancora in piena pandemia) per presentare il suo ultimo album When The Wind Blows/Dove tia o vento, il suo primo da cantautore. Ecco l'intervista che gli avevamo fatto.
PC Domanda inevitabile: come hai vissuto la produzione del nuovo disco in piena pandemia?
Beppe Gambetta Tra i musicisti indipendenti vige la cosiddetta "regola del 3": se passano più di tre anni tra un lavoro e l'altro, l'attenzione verso la tua figura si affievolisce lentamente. Quindi di solito occorrono un paio di anni per promuovere un disco e intorno al terzo si fa uscire quello successivo. Quest'anno io e Federica avremmo dovuto organizzare la ventesima edizione dell'Acoustic Night di Genova. Avrebbe dovuto essere una grande festa e anche l'occasione per presentare il mio nuovo disco, ma purtroppo è sfumata. Così abbiamo deciso di rispondere cercando di fare uscire il disco a tutti i costi. Gli stampatori di cd del Nord America hanno dovuto fermarsi e così l'etichetta canadese che lo ha prodotto ha deciso di stamparlo in Italia per evitare di doverli spedire. Anche quando abbiamo prodotto il video di "Dove tia o vento", eravamo in piena quarantena e ci mancavano le riprese di alcune scene. Ricordo che mentre facevo il bagno ho pensato che avrei dovuto girare la scena del naufragio dentro la vasca da bagno e così ho fatto. Se sei un artista, trovi sempre il modo per andare avanti...
PC Sì, ma senza giocare al ribasso, però. In questo periodo di chiusura, i musicisti hanno usato i social per non far mancare la loro musica alla gente, ma certi loro live di facebook erano improponibili.
BG Ezio Bosso, di cui ero un grande ammiratore, diceva che il pubblico è un musicista silente, ma molto importante perché è parte del suono, e che quando il pubblico non c'è, alla musica manca un suo attore fondamentale. In questo periodo mi sono rifiutato di soccombere ai concerti live streaming proprio perché penso che bisogna combattere per ritornare ad avere il pubblico. Bisogna trovare luoghi molto ampi dove la gente possa ritrovarsi nuovamente. È anche vero che in questo periodo è venuta fuori la voglia di essere una categoria rispettata. In Italia il confine tra dilettante e professionista è meno definito rispetto al resto del mondo dove ciò che fa la differenza è il pagamento di un biglietto per assistere a un concerto. Questa pandemia ci aiuterà a chiarire di più anche questi aspetti.
PC Come stai vivendo questo difficile momento storico degli Stati Uniti?
BG È entusiasmante vedere come vivono la musica, in maniera così totale e con molti più sacrifici di quelli che facciamo noi per sostenerla. Noi viviamo nello stesso collegio elettorale di Bruce Springsteen e di Bon Jovi, dove ci sono una cinquantina di club nel raggio di un paio di ore di auto, e dove la gente è felice di pagare un biglietto da 20 dollari per ascoltare dal vivo un musicista indipendente. Anche nei momenti di grande crisi continuano a fare e ascoltare musica perché quello è il loro modo di curarsi. Però in questo momento stanno uscendo alcuni aspetti negativi della loro cultura. Sono egocentrici, non si occupano di quello che accade nel resto del mondo e hanno scarsa conoscenza della geografia. Pensano ancora di non poter essere scalfiti o attaccati da qualunque agente esterno. Mentre il virus si espandeva lentamente e noi ci stavamo preparando con il pieno di provviste per poter restare chiusi a casa per almeno un mese, la gente del posto ci guardava stranita mentre uscivamo dal supermercato con due carrelli pieni. Poi c'è il problema dell'attuale arroganza del potere che sta soffocando le forze positive di quel Paese, creando una spaccatura che appare insanabile.
PC Il tuo cd è stato invece sostenuto dal governo canadese, molto attivo nella promozione della musica.
BG Il Canada investe nell'integrazione tra culture, evitando così i conflitti. Hanno regole che obbligano a dare spazio alla loro musica, ma anche a quella internazionale, sostiene le etichette indipendenti come la Borealis, una label che si occupa di folk e musica d'autore, e che ha stampato gli ultimi miei tre lavori.
PC Raccontaci come e perché è nato Dove Tia o Vento.
BG Nell'arte indipendente non esistono confini precisi. Il mio mentore americano, il grande Doc Watson, pietra miliare del chitarrismo folk indipendente, era artisticamente inclassificabile perché nel corso della sua carriera, pur avendo inventato uno stile per chitarra, ha suonato e cantato molti generi e collaborato con artisti diversi. Da lui ho imparato ad aprirmi a cose sempre nuove. Siccome sono sempre stato cacciatore di canzoni, brani meravigliosi che per qualche ragione non hanno avuto successo e ai quali ho voluto dare un impulso arrangiandoli a modo mio, molti colleghi mi hanno detto che forse era giunto il momento di scrivere canzoni mie. Così sono diventato cantautore, superando quella sorta di pudore che mi aveva fermato finora, perché ora ho delle cose da dire, cioè raccontare quei 250 giorni all'anno in cui sono on the road. Sono nate così quattro canzoni, una delle quali, "Quando Tia o Vento", è stata selezionata all'interno della cinquina delle nomination per il Premio Tenco di quest'anno e grazie alla quale parteciperò al festival internazionale dei Parchi di Nervi, che sarà la prima vera apertura di Genova alla grande musica il prossimo 19 luglio.
PC Di che cosa parla "Quando Tia o Vento"?
BG È la storia travagliata di una Genova che soffre in contrasto con la bellezza che spinge chi l'abbandona a ritornare indietro. Ho voluto cantare la mia città evitando quel campanilismo che di solito caratterizza le canzoni dedicate alle città. Tutto è nato dall'incontro che ho avuto con una mia vecchia zia, la quale mi ha raccontato l'albero genealogico della mia famiglia. Ricordava tutte le persone e le date, da metà dell'Ottocento in poi, a partire da quei marinai che lasciavano la città e poi, come fece il marito di una mia bisnonna partito per l'Argentina, non si erano più fatti vivi nonostante la promessa di ritornare. Nella seconda strofa della canzone c'è la guerra e le distruzioni del fascismo, ma anche del più recente G8, mentre nella terza strofa si fa riferimento ai problemi della Genova di oggi, quella del ponte crollato. È la storia di una città che soffre, con i giovani costretti ad andare... dove tira il vento. Al tempo stesso c'è la bellezza di una città che continua a chiamare in tanti modi diversi.
PC Come è stato prodotto l'album?
BG Se devi fare il produttore, devi studiare produzioni interessanti. Così mi sono imbattuto in un disco di Richard Shindell, un cantautore americano, in cui era evidente un gran lavoro di percussioni curate da Joe Bonadio, un musicista italo americano di New York, che ha lavorato anche con Sting e ha radici nella cultura italiana. Sono riuscito a coinvolgerlo ed è stato bravissimo a rispondere ogni volta che lo stimolavo con qualche richiesta. L'altro musicista è il contrabbassista jazz Rusty Holloway, che per la sua conoscenza della musica roots, è riuscito a tenere a bada la tipica mentalità jazz improvvisativa dando un sostegno alle canzoni.
PC Come hai fatto le registrazioni?
BG Ho registrato le basi nello studio di casa, dove ho potuto sperimentare senza il patema del tempo che scorre quando sei in uno studio di registrazione, anche perché a volte la soluzione poetica non è la prima che provi. In questa occasione, ho scoperto dei microfoni meravigliosi per la ripresa della chitarra, i Busman Audio BSC1. Ho usato un piccolo registratore digitale a otto canali con qualche altro buon microfono e qualche buon preamplificatore. Non abbiamo suonato tutti insieme, ma ne ha guadagnato l'arrangiamento. Per esempio, ho registrato una 12 corde "decomposta", cioè ho registrato la corda dell'ottava alta tutta a destra e poi quella dell'ottava bassa messa a sinistra. Oltre a una Telecaster, a un bouzuki, a una National per gli slide e a qualche chitarra di liuteria per dare dei colori in certi momenti, ho usato l'acustica che porto anche dal vivo, una R-Taylor. È una serie molto costosa costruita da un liutaio, ma che non fanno più perché era fuori mercato. Ne ho una in Italia e una negli Stati Uniti.
PC In quale studio hai finito la produzione del disco?
BG Nello studio Ampersand di Bob Harris, un tecnico del suono che consiglio a tutti i miei colleghi. È stato per molti anni il chitarrista di Vassar Clements, forse il più grande violinista country mai esistito. Bob è anche un appassionato di microfoni e ama usare console e outboard analogici che hanno fatto la differenza anche nella registrazione della mia voce.
PC Progetti per il futuro?
BG Ho aperto un profilo su Patreon, una piattaforma dove si può fare una sottoscrizione a favore di un artista ricevendo in cambio delle anteprime, delle piccole lezioni di chitarra ecc. Ho messo dei brani anche su Bandcamp, che riserva buona parte dei guadagni all'artista. Poi abbiamo prodotto un video su Acoustic Night 20, un percorso di 6 minuti di storia di questo evento indipendente di cui siamo orgogliosi perché è cresciuto a livello europeo con i suoi 4.000 spettatori paganti a ogni edizione. Credo che sia la riprova che è possibile mantenere la propria identità e fare qualcosa di importante anche in Italia, senza per forza cercare l'aiuto pubblico o entrare in certi meccanismi dell'industria discografica.