Quando si diploma a soli 15 anni al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, il suo destino sembra segnato. Poco più che ventenne, infatti, Fabrizio Bosso inizia a incidere dischi e a partecipare a tour a fianco di grandi nomi del jazz internazionale. Poi entra nel mondo del pop, grazie al cantautore/pianista Sergio Cammariere, a cui deve la sua prima apparizione al Festival di Sanremo. Oggi Fabrizio Bosso è uno dei più quotati trombettisti italiani, una "voce" al di là dei generi, che si esprime con un proprio stile e in piena libertà espressiva.
La seconda ondata pandemica ha fermato la musica live quando esce a novembre 2020 per Warner Music We Four, lavoro discografico del quartetto di Fabrizio Bosso che vede coinvolti Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria in un sodalizio, umano e musicale, espresso nel titolo del nuovo lavoro. Intervistiamo Bosso in un momento in cui ancora non si vedono all'orizzonte le aperture concesse alla musica dal vivo.
PC Questa pandemia ha portato molti musicisti a riflettere sulla propria vita non solo artistica. C'è qualcosa che ti sei ripromesso di fare quando riprendera appieno la tua attività?
Fabrizio Bosso Non mi è facilissimo risponderti perché dopo essermi massacrato nell'ansia di cercare una prima data in calendario dopo il primo lockdown, in questo momento sto cercando di tutelare la mia integrità delegando alla mia manager la ricerca e la programmazione dei futuri concerti. Per la prima volta nella mia vita sto cercando di rilassarmi un po' facendo altro. Mi sono appassionato di paddle e faccio sport per sfogarmi, ma ho anche studiato molto mentre ero a casa. Ora il mio primo pensiero è quello di non far spegnere la fiamma, mentre per il futuro il mio più grande desiderio è suonare dal vivo We4, disco che è uscito senza poterlo neanche presentare dal vivo.
PC Con il progetto We4 hai raggiunto il cosiddetto "interplay" perfetto?
FB Quello che accade ogni tanto quando mi trovo a suonare dal vivo con i musicisti giusti è che mi sembra di suonare meglio anche io. Ci sono musicisti che ti permettono di suonare al meglio sia emotivamente che tecnicamente perché c'è una grande fiducia reciproca. Anche se a volte si abusa di questa parola, possiamo dire che "interplay" è quando riesci a fare di un concerto o di un brano una cosa unica e compatta, non un assolo figo, ma almeno un intero brano che scorre in maniera fluida, così tanto da farti venire voglia di sentire suonare meglio anche gli altri musicisti con cui sei sul palco, cosa che non avviene sempre.
PC Essere chiamato a così tante collaborazioni rende meno frequenti queste situazioni positive?
FB Sì ed è sempre più difficile anche perché a vent'anni hai un approccio e una spregiudicatezza che ti fa salire sul palco con chiunque. Dopo i quaranta inizi a renderti conto che hai bisogno di cose più profonde per stare bene con altri musicisti. In alcuni casi tiri fuori il mestiere perché è comunque il tuo lavoro e impari ad accettare anche che può esserci un concerto in cui non suoni al massimo per varie ragioni.
PC Nel mondo del pop, dove tutto è più costruito e si usa più mestiere, appunto, ti accade di godere di quei momenti così piacevoli e coinvolgenti?
FB Sì, soprattutto quando sono io a coinvolgere il musicista pop. Di solito, quando vengo chiamato a fare un solo in una canzone pop, è fondamentale la prima esecuzione. Per esempio, ho da poco collaborato con Fabio Concato e, per entrare nel brano, abbiamo deciso di andare in studio per registrare insieme. Fabio ha una grande sensibilità ed è facile entrare subito in quel clima positivo. Anche quando Mario Biondi ha cantato nel mio disco con il trio Spiritual, la sua prima registrazione è stata quella buona, quella in cui ha fatto le migliori cose lasciandosi trasportare. L'emozione di avere Mario in studio, che mi dedicava il suo tempo, ha portato a un risultato che non penso sarebbe arrivato se gli avessimo fatto trovare pronta la base su cui cantare per il tempo strettamente necessario alla sessione di registrazione. Le produzioni che richiedono post-produzione e interventi successivi rendono più impegnativo dare il meglio di sé dal punto di vista del coinvolgimento e alla fine anche del risultato.
PC Quelle di Concato e Biondi sono voci che esprimono una grande anima interiore... deve essere anche facile farsi trasportare da voci come queste.
FB Sì, voci così diverse eppure così forti e presenti entrambe. Vedi, grazie a mio padre trombettista, io sono cresciuto con i dischi di musica jazz delle grandi big band ma nello stesso tempo ascoltavamo Bruno Martino, Luigi Tenco, Gino Paoli e Ornella Vanoni. Ho fatto i miei primi soli e le mie prime improvvisazioni su quei dischi perché era più facile stare sulla melodia. Per me la melodia vocale delle grandi canzoni è sempre stata importante. Perciò non ho mai considerato una "marchetta" suonare in ambito pop, come molti colleghi jazz invece pensano che sia. Ho anche avuto la fortuna di farlo presto con Sergio Cammariere, che mi ha fatto entrare in quel mondo con l'ospitata al Festival di Sanremo, ma Sergio era già un musicista vicino al mondo del jazz e quando suonavo con lui dal vivo avevo sempre molto spazio. Se penso ai nomi con cui ho collaborato anche di recente, da Raphael Gualazzi a Simona Molinari a Nina Zilli, possiamo definirlo pop giusto perché è passato da Sanremo...
PC Senza nulla togliere a tutte le altre, quali delle esperienze che hai fatto fino a oggi consideri le più importanti per la tua carriera?
FB Un'esperienza molto bella e anche impegnativa è stata quella con la Liberation Music Orchestra. La storia è questa: a 22 anni ricevo la chiamata di Charlie Haden, a cui aveva parlato di me Enrico Rava, che mi chiede di fare quattro date del tour per una sostituzione. Allora non parlavo assolutamente inglese e pensare di suonare con musicisti come Carla Bley o Jorge Rossy già mi metteva in agitazione. Dopo un viaggio di 15 ore in pullman raggiungo la band, ovviamente senza partiture, e faccio la prima prova. Carla Bley fa la scaletta del concerto e decide di iniziare con una parte di soli ottoni suonata pianissimo, una specie di corale di musica da camera dopo due giorni di viaggio e poche prove! Fatto sta che in concerto la parte viene così bene che dalle tremila persone presenti in teatro parte un'ovazione, come se fosse stato il bis di fine concerto. Dopo un po' di anni ho ripensato a quella situazione convincendomi che la decisione presa da Carla Bley di partire con quel brano era servita a catturare il pubblico in un modo originale. Da allora le stesse mie scalette sono cambiate e le ballad hanno assunto un'importanza diversa. Anche in un recente concerto estivo in una piazza strapiena, in cui non sapevamo come avremmo potuto tenere in silenzio la gente, ho deciso di aprire con una ballad lentissima e come per magia il pubblico si è zittito improvvisamente. È stato uno dei concerti più emozionanti della mia vita. Ci sono stati tanti altri momenti che hanno lasciato in me qualcosa di importante. Anche in questi giorni, per esempio, sto lavorando con la prima tromba dell'Accademia Santa Cecilia, Andrea Lucchi, ed è uno scambio meraviglioso... sono i risvolti positivi di questa pandemia.
PC Nel tempo hai cambiato l'approccio allo strumento in qualche nuova direzione?
FB È un lavoro continuo quello di trovare qualcosa che ti permetta di fare ancora meglio e con sempre meno fatica. Quello che ho imparato nel tempo è capire subito cosa mi serve fare quando non sono al top e devo riuscire comunque a tenere sempre uno standard alto. La tecnica è importante, ma quando devi essere pronto e sicuro, come accade nelle trasmissioni televisive, per esempio, conta molto la testa, la concentrazione.
PC Come hai scelto il tuo strumento?
FB Un trombettista sceglie lo strumento in base al suo suono personale. La regola, poi, è che più sono grandi il bocchino e le ance, così come il canneggio, e più il suono sarà scuro. La mia tromba, per esempio, è una G&P Wind Instruments di Angelo Pinciroli, una special edition da me firmata, su cui monto imboccatura Frate Precision. È uno strumento che va sul versante Monette, alla Winton Marsalis, con campana grande e canneggio un po' più largo. È un po' più faticosa e infatti non è da prima tromba in una big band. Rispetto ai solisti di una volta, Chet Baker o Miles Davis, quelli di oggi cercano un suono bello su un'estensione più ampia, ma bisogna imparare a lavorare per ottenerlo...
PC Come accade con la voce umana: evitare che si sentano i passaggi da un registro all'altro...
FB Esatto. Come quando vai in falsetto e devi mantenere il suono grosso, perché se fai la lead trumpet puoi suonare acuto senza particolare corpo, ma se stai facendo un solo nel registro medio e ti sposti su quello alto, perdi di efficacia se non tieni il suono grosso. Il primo che è riuscito a mantenere questa efficacia su tutti i registri, secondo me, è stato Clifford Brown che riusciva a dare colore al suono in tutti i registri.
PC Sei interessato all'elettronica?
FB La prima occasione in cui l'ho usata seriamente è stata con Antonello Salis perché, avendo lui una gran quantità di suoni diversi, tra percussioni, pianoforte preparato e fisarmonica, sentivo l'esigenza di avere qualche altra carta a disposizione per confrontarmi con lui. In realtà non ho mai approfondito molto l'elettronica. Quando voglio creare qualche suono diverso, uso l'harmonizer, ma tanto per farti capire qual è il mio approccio, quando registro le parti preferisco ascoltare il suono senza l'effetto... a meno che non stia suonando in un dj set dove tutto è più estremo.
PC Di recente hai collaborato al progetto Music For Love, album solidale che vede coinvolti insieme ai figli di Bob Marley Stephen, Damian e Julian anche 29 artisti di 8 nazionalità. Come ti hanno coinvolto?
FB Il progetto è nato da un’idea di Franco Nannucci, un imprenditore tessile italiano che vive negli Stati Uniti. Quando ho incontrato Nannucci ho conosciuto una persona vera che spende il proprio tempo per gli altri, cercando di fare anche qualcosa che gli piace, perché è un grande appassionato di musica. Sono felice di aver preso parte a questo lavoro dando il mio piccolo contributo alla raccolta fondi. Ho anche collaborato a un disco composto da Max Maglione, titolare della Seeoo, una marca di occhiali che avevo usato in una trasmissione televisiva. Dopo avermi visto in tv mi ha contattato per conoscermi e ho scoperto che Maglione è un cantautore che ha studiato negli Stati Uniti prima di tornare in Italia per fondare la Seeoo. In realtà lui continua a suonare solo per raccogliere fondi destinati a Peter Pan, associazione a cui sono destinati anche i guadagni dalla vendita del cd che l'ho aiutato a realizzare. Per chiudere il cerchio, ti devo anche dire che da marzo del 2020, cioè quando è iniziata la pandemia, faccio il volontario per la Comunità di Sant'Egidio portando da mangiare ai senzatetto.