Viviamo le nostre vite “un argomento in trend alla volta”. La morte di una celebrità, un bacio strappato sul palco del Festival, la canzone-vendetta di una popstar, e così via. In una continua rincorsa al tweet, al commento, alla battaglia da tastiera, diventa complicato riconoscere un argomento che vada oltre il trend passeggero e sia meritevole di pagine e riflessioni che rimangano su carta, cristallizzate nel tempo.
Forse i recenti sviluppi nel campo dell’Intelligenza Artificiale - e soprattutto l’attenzione e l’entusiasmo che li ha accompagnati - potrebbero rientrare in tale casistica. Almeno è quello che Sam Altman, CEO e co-fondatore con Elon Musk di OpenAI, è riuscito a far credere a molti quando, a fine 2022, ha lanciato ChatGPT, un chatbot basato su intelligenza artificiale (presto bloccato dal Garante della Privacy) che, in conversazione con un utente umano, restituisce nuovi contenuti testuali, opera traduzioni o riassunti, genera sintesi vocale (il parlato a partire da un testo). È l’inizio della fine per la creatività umana? Presto dovremo guardare passivamente alla fine dell’epoca dei parolieri? Fra quanto vedremo il Premio Mogol e il Premio Bardotti assegnati a una macchina il cui nome assomiglia a un codice fiscale?
Per ora, chiedendo a ChatGPT di scrivere il testo di una canzone nello stile di Vasco Rossi sugli strumenti musicali, i risultati sono francamente eccezionali solo se l’obiettivo è intrattenere i propri amici in Sala Prove:
[Intro] Ehi ragazzi, siete pronti a sentire una canzone sui nostri amati strumenti musicali? Prendete le chitarre, le batterie e i bassi, perché stasera si suona fino all’alba!
[Strofa 1] Ho una chitarra tra le mani è il mio tesoro, è il mio amore non c’è niente al mondo che mi renda così felice se non quando suono la mia musica forte e chiara
[Chorus] Strumenti musicali, la mia passione sono il ritmo che batte dentro al cuore sentirli suonare è una vera emozione che mi fa vivere senza alcun timore
Vi risparmiamo per decenza seconda strofa, bridge e outro. Al di là delle risate, l’IA non è il nemico, sia chiaro. Non siamo Will Smith in Io, Robot (Alex Proyas, 2004). Né tanto meno sono da considerarsi “nemici del popolo” i tanti sviluppatori, informatici e professionisti di vario genere che stanno lavorando a nuove e sempre più utili applicazioni con questa tecnologia ancora relativamente giovane. L’intelligenza artificiale fa infatti parte delle nostre vite e del nostro lavoro già da almeno un decennio e sta già aiutando a rendere tanti strumenti più semplici nel loro utilizzo. Il campo della musica e dello spettacolo non fanno eccezione.
Solo a titolo di esempio, i plugin della FAST series di Focusrite (EQ, compressore, reverb e spectral ducking) utilizzano l’intelligenza artificiale per proporre “context-specific presets”, ovvero dei preset che il software riconosce più giusti sulla base del contesto di registrazione. Questo chiaramente può fornire, anche a chi è agli inizi, una guida per impostare correttamente il lavoro. Esistono poi tool per il restauro audio e la soppressione del rumore basati sull’IA come Izotope RX-9, i cui sviluppatori hanno istruito l’algoritmo a distinguere tra elementi desiderabili e indesiderabili all’interno del file audio.
Sul noto portale per il crowdfunding Kickstarter, c’è persino un progetto chiamato Maestro DMX incentrato su un prototipo di controller luci in grado di gestire l’impianto in autonomia sulla base della musica riprodotta live o in console.
In maniera persino più macroscopica, poi, l’intelligenza artificiale ha già in buona sostanza rivoluzionato il modo in cui la musica viene proposta al pubblico finale. Le principali piattaforme per lo streaming infatti (Spotify, Amazon Music e Apple Music in testa) utilizzano a piene mani il machine learning per analizzare l’archivio musicale sempre più vasto a disposizione e costruire modelli che alimentino e rendano quanto più funzionali possibile i loro sistemi di raccomandazione all’utenza. L’idea è che, con gli algoritmi sempre più efficienti nell’individuare somiglianze tra canzoni e proporre brani pertinenti nelle playlist personali a tutti gli utenti, questi ultimi possono ritenersi sempre più soddisfatti e passare ancora più tempo sulla piattaforma. E qui potrebbero sorgere alcuni timori di natura etica.
L’uso sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale non potrebbe in fin dei conti appiattire i gusti e, in seconda battuta, le produzioni musicali? Non si rischia che, prima o poi, in un mercato discografico distopico, la musica si riduca a una rincorsa a ciò che somiglia scientificamente a un “già sentito” di successo? Tali paure sono, in buona sostanza, infondate e irrazionali. L’ultima parola, infatti, spetta sempre a una mente umana che è quella dell’ascoltatore. L’intelligenza artificiale, anzi, impara proprio dalle scelte degli ascoltatori (milioni di scelte ogni giorno) a non premiare ciò che potrebbe portare a una saturazione degli ascolti in quanto poco originale e ripetitivo. Non ha gli strumenti per fare valutazioni davvero proprie. Può solo calcolare predittivamente e con approssimazione ciò che “ha visto” fare un numero infinitamente grande di volte a noi e ripeterlo.
D’altra parte, l’intelligenza artificiale non è intelligenza propriamente detta, a meno che non si voglia limitare il termine “intelligenza” al solo campo dei calcoli e della logica matematica. C’è un’altra intelligenza, questa sì autentica, che contribuisce ad alimentare la fiamma della musica e dello spettacolo. Si tratta dell’intelligenza emotiva che, sebbene gli scienziati dibattano già in merito, è prerogativa solo di chi, come noi, è in grado di provare emozioni. Un tipo di intelligenza che rende l’insegnamento e la didattica musicale forse i migliori alleati per l’apprendimento in età infantile. È quella scintilla da cui scaturisce la creatività più vigorosa e irrefrenabile e che è figlia dei ricordi e delle sensazioni più belle. Emozioni come il primo incontro con la persona che si ama o lo strumento musicale che si imbraccia e si suona. Chi scrive ha un ricordo vivido dei suoni, dei colori, degli odori della prima volta in cui, ormai 16 anni fa, aprendo una custodia semirigida che pensava essere il suo regalo, si è ritrovato davanti la sorpresa: una Ibanez Talman acustica, con il corpo in mogano sunburst e il manico in palissandro, sulla quale ancora oggi preferisce strimpellare e registrare bozze di nuovi brani. Come me, ne sono certo, tanti più bravi e anche più famosi.
Quale futuro allora per le “intelligenze musicali”, ovvero le teste di chi popola, anima e rende vibrante la community della musica? Si procederà verso nuovi paradigmi che potremmo definire ibridi. Uno scenario in cui uomo e macchina, sperimentazione dopo sperimentazione, interagiscono in maniere sempre più creative e proficue. Per certi versi, come abbiamo anticipato prima, l’IA fornirà strumenti tecnici e di supporto sempre più efficienti agli artisti e ai tecnici.
Anche sul piano creativo, poi, l’intelligenza artificiale potrà banalmente fungere da stimolo per superare il ben noto “blocco dello scrittore” o magari prendere parte a performance e contribuire a produzioni musicali. Non è difficile reperire sul Web notizie di progetti simili, ma si pensi anche, banalmente, a un jazzista che improvvisa su una progressione di accordi generata live dall’intelligenza artificiale. O ancora, l’IA potrebbe diventare “espediente artistico o narrativo”. Non a caso, il primo romanzo scritto “a quattro mani” con un’intelligenza artificiale è opera di un musicista, Sergio Conforti, aka Rocco Tanica. Il suo Non siamo mai stati sulla Terra (Il Saggiatore, 2022) è uno scritto a tratti geniale, nel quale l’interazione uomo-macchina porta a un’esplosione di bizzarrie stranianti e comiche, come la città di Asti che, secondo Out0mat-B13, l’altro “autore”, è antica sede di un parco divertimenti creato dai Savoia, mentre i The Caribbean Beatles sono una band ben più influente dei Fab Four.
A un livello ancora più profondo, l’ibridazione avverrà sul piano estetico. Come ogni tecnologia dirompente, anche l’Intelligenza Artificiale, man mano che si svilupperà, solleverà curiosità, questioni, dubbi, contraddizioni. L’altra Intelligenza di cui stiamo parlando, quella emotiva e musicale, troverà allora sicuramente modi nuovi e creativi per dare una risposta artistica alla materia contraddittoria. La storia ce lo insegna. È già successo più volte durante quella che Umberto Galimberti chiama “l’età della Tecnica”. Forse l’esempio più eclatante viene dagli anni ‘70, un decennio di sballo neo-positivista durante il quale, dopo lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11, tutto sembrava possibile grazie al potere di calcolo dei supercomputer.
I Kraftwerk, pionieri della musica elettronica e forse tra i pochissimi progetti di culto a non provenire dagli Stati Uniti o dal Regno Unito in quegli anni, trovarono in un’estetica costruita sulla spersonalizzazione e meccanizzazione del suono la via per raccontare in musica il loro mondo. L’album del 1978, The Man Machine, contenente pezzi che hanno avuto un’influenza straordinaria sull’evoluzione della dance, dell’elettronica e del pop, come "We Are The Robots" o "Das Model", torna oggi attuale a distanza di 45 anni. Come cantava Florian Schneider al vocoder “We are programmed just to do, Anything you want us to, We are the Robots”. La macchina più affascinante rimane quella che abbiamo in testa e che muove le nostre dita su strumenti, mixer, tastiere e controller.