La Previdenza in Sala di Incisione: Quando la Legge è Più Lenta del Mercato

La Previdenza in Sala di Incisione: Quando la Legge è Più Lenta del Mercato

È noto che per un'attività dal vivo vi siano degli adempimenti pensati a tutela del lavoratore dello spettacolo (certificato di agibilità, versamento dei contributi), che garantiscono un domani il diritto a una pensione. Meno considerata appare invece la conoscenza di tali meccanismi per l’attività in sala di incisione che andiamo a riassumere sinteticamente:

  • Un lavoratore dello spettacolo ha diritto ad avere i contributi versati per ciascuna prestazione di lavoro resa;
  • L’attività resa in sala di incisione per la realizzazione di un prodotto musicale è considerata attività di spettacolo e quindi assoggettata al versamento dei contributi INPSexENPALS;
  • Per i musicisti che percepiscono un compenso fisso (esempio il “turno” in studio), tale compenso è dovuto dal soggetto che ingaggia l’artista, con le normali aliquote previdenziali (33%, di cui il 23,81% a carico del datore di lavoro e 9,19% a carico del lavoratore). Tale compenso, è spesso riferito alla sola prestazione d’opera e non anche alla cessione dei diritti connessi (che non può superare il 40% del valore complessivo del compenso);
  • Per i cantanti e gli orchestrali, che percepiscono una royalty (cosiddetti "artisti primari"), è dovuta una contribuzione tabellare, cioè basata su tabelle ministeriali. L’ultima del 2010, mai adeguata da allora, prevede compensi di 10 euro inferiori alla giornata minima a fini previdenziali attuali e basa la contribuzione dovuta sul numero di copie fisiche vendute, esonerando dalla contribuzione per le copie omaggio o la distribuzione digitale, come se il diritto alla contribuzione previdenziale fosse vincolato non alla prestazione di lavoro svolta, ma all'attività dell’imprenditore (!).

Ciò detto, va considerato il fatto che oggi la discografia è sempre meno basata su un'attività industriale, con dischi fatti in studio di registrazione e sempre più, ci si permetta il termine, “artigianale” dove molti artisti si autoproducono, spesso in propri spazi domestici, anche coinvolgendo i propri colleghi. 

Questo scenario rende impossibile, secondo l’attuale assetto normativo, il soddisfacimento degli obblighi previdenziali, perché tali soggetti non sono imprese, non possono "auto versarsi” i contributi, e perché la figura del datore di lavoro coincide con quella del lavoratore.

Davanti a questi fatti, che evidenziano come la legge in questo caso sia ormai inadeguata rispetto alla realtà di mercato, la auspicata riforma della previdenza dello spettacolo, nell’agenda politica di questo periodo, dovrebbe tenere conto di queste problematiche. 

Andrea Marco Ricci, avvocato, Presidente di Note Legali