di Marco Gino Costante
Scommetto che il nome Guillaume Simon non vi dice nulla. Eppure vi posso assicurare che, senza esagerare, il 50% di voi ha ascoltato una sua composizione almeno una volta nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011. In particolare, sono certo di andare a colpo sicuro con tutti i chitarristi e i bassisti autodidatti che oggi hanno un’età compresa tra i 25 e i 45 anni; quelli, insomma, che si sono ritrovati con il loro strumento preferito tra le mani mentre il mondo conosceva una sempre più massiccia digitalizzazione e i social erano ancora ai loro esordi.
Vi arrendete? Partiamo col dire che Guillaume Simon è un chitarrista fingerstyle della Costa Azzurra e si guadagna da vivere come maestro di chitarra, arrangiatore e compositore. Sul suo canale YouTube e su Instagram lo si vede spesso imbracciare un’acustica Taylor autografata da Tommy Emmanuel e alle prese con un vasto repertorio di video tutorial per tutti i livelli. Nel 2005, però, il nostro “chitarrista misterioso” collaborava con una software house con sede a Lilla di nome Arobas.
Ebbene, mentre dalle stringhe di codice degli sviluppatori transalpini veniva fuori l’editor di tablature più popolare di tutti i tempi, Guillaume Simon scriveva i 10 secondi di arpeggio che avrebbero accompagnato tutti i doppi clic sull’icona di quel programma, chiamato Guitar Pro 5.
Vi racconto tutto questo non solo per “sbloccarvi un ricordo”, ma anche e soprattutto per riflettere su quanto sia importante e quante tracce emotive lascino, nella vita di chiunque suoni o si occupi di musica, la formazione e lo studio del proprio strumento. E, anche se chi ha avuto una formazione musicale più strutturata o accademica forse storcerà un po’ il naso davanti al binomio Guitar Pro-studio, uso quest’ultimo termine non a caso e, a mio avviso, in maniera del tutto appropriata. Il verbo italiano “studiare” deriva, infatti, dal latino stŭdĕo che vuol dire innanzitutto desiderare, aspirare a qualcosa. Perciò chiunque suoni uno strumento è innanzitutto “homo studiosus”, un appassionato, un’individualità desiderosa di conoscenze e abilità tecniche. Parlando di musicisti e tecnici musicali, insomma, verrebbe quasi in mente quel famosissimo verso cantato da Vasco Rossi nella sua "Albachiara" (1979): “ti piace studiare, non te ne devi vergognare”.
Certo è che dall’epoca d’oro delle tablature fino a oggi, in circa 15 anni, le modalità di erogazione della formazione musicale sono cambiate in maniera straordinaria, in special modo per chi prova innanzitutto a costruirsi un percorso di crescita autonomo.
Proprio in virtù della crescita esponenziale dei numeri sul Web e all’interno dei Social Media, abbiamo assistito a un’autentica esplosione delle opportunità di auto-formazione.
Basti pensare a YouTube. Nel 2005 il portale per la condivisione video fondato da Steve Chen, Chad Hurley e Jawed Karim era appena nato e doveva ancora entrare nella cosiddetta “Broadcast Yourself” Era. Già nel 2012, riviste scientifiche di pedagogia musicale come il britannico Journal of Music, Technology And Education si interrogavano sui cambiamenti che YouTube stava apportando alla didattica degli strumenti. Ed è molto interessante a dieci anni di distanza rileggere le conclusioni che i ricercatori Nathan Kruse (University of North Texas) e Kari Veblen (University of Western Ontario) traevano dalla loro analisi statistica dei video formativi disponibili allora online. Gli istruttori erano nella stragrande maggioranza uomini di mezza età, con una tendenza a creare contenuti soprattutto per i beginner.
Oggi lo scenario sicuramente è molto più vario, come è normale che sia data l’inflazione del numero di tutorial disponibili. Non è raro imbattersi in creator di video formativi giovanissimi e, specie quando si parla di pianoforte, chitarra e basso, ukulele, canto, batteria e violino, gli youtuber specializzati in tutorial riescono a totalizzare milioni di visualizzazioni e, in alcuni casi, anche di iscritti. Certo, qualcuno potrebbe argomentare che ancora oggi, per una evidente corrispondenza con ciò che il mercato richiede (la soluzione facile e veloce del tutorial online è solitamente ricercata da chi è agli inizi), i video online si rivolgono ancora e soprattutto a principianti. Ma si tratta di un falso mito. Se proviamo infatti a spostarci da YouTube verso altri luoghi della Rete, il discorso cambia e anche parecchio.
Una piattaforma come FutureLearn, per esempio, pur offrendo anche corsi entry level, permette a milioni di studenti di musica e produzione musicale da tutto il mondo di affinare le proprie competenze in ambiti molto specifici scegliendo videocorsi tenuti da docenti e maestri professionisti. Per non parlare poi del portale MasterClass nato specificatamente per offrire il meglio in assoluto a chi, per esempio, ha già competenze musicali solide e sente magari il bisogno di quel quid in più a livello di mentalità e pratica professionale. Così, grazie alla sezione musica che conta a oggi 23 corsi, si possono ricevere consigli esclusivi sul jazz da Herbie Hancock, sul canto da Christina Aguilera o Mariah Carey, sul songwriting da John Legend, sulle colonne sonore da Hans Zimmer, sulle performance sul palco da Usher, sulla batteria da Ringo Starr, e così via.
E non possiamo certo dimenticare un piccolo particolare. Veniamo da due anni di pandemia e, perciò, volenti e nolenti, un po’ tutti siamo stati costretti a studiare - un’azione che come dicevamo all’inizio è connaturata al musicista o al professionista musicale - rimanendo alla nostra scrivania, in “cameretta”. Uno studio da home studio, perdonerete il gioco di parole. Le piattaforme di e-learning (ce ne sono tante altre oltre alle due citate) e il più generalista YouTube hanno così macinato numeri ancora più impressionanti rispetto al periodo precedente. Tutto questo mentre chi insegna musica o produzione per professione correva ai ripari attrezzandosi privatamente o, nel contesto di una struttura scolastica/educativa, per la didattica a distanza.
Questo vuol dire che è destinata a finire per sempre l’epoca del maestro privato di musica, dei licei musicali e dei conservatori, delle lezioni di gruppo e della formazione continua durante le prove? Tutt’altro. A ogni azione corrisponde una reazione.
Così le chiusure pandemiche hanno creato un bisogno mai così forte di occasioni di confronto, di formazione in studio o in sala prove, lezioni faccia a faccia e così via. Questa dinamica è tra l’altro totalmente trasversale e coinvolge perciò le materie di insegnamento più disparate, anche quelle più care ai tecnici.
Lo sa benissimo chi, per esempio, si occupa di formazione musicale non solo per i musicisti ma anche per una figura professionale fondamentale nel settore come quella del sound engineer. Parlo di Sound by Side che organizza negli studi di registrazione del nostro Paese dei workshop audio con i migliori fonici della scena nazionale e internazionale (gente come Steve Albini, Sylvia Massy, Tom Lord-Alge, Tommaso Colliva, ecc.). Stefano Saggiomo, founder di SbS, ci ha raccontato per esempio che, non appena c’è stato un minimo di riaperture, i ragazzi sono stati disposti a chiudersi in studio per ore e ore, distanziati e sempre con le mascherine, facendo registrare il sold-out sia per l’incontro di rec & mix solo su nastro con Alberto Ferrari e Marco Fasolo, sia per “Rec and Mix on a Budget”, workshop in cui sono stati registrati e mixati gli I Hate My Village con sola strumentazione entry level.
Il tutto confermato anche dai maestri di chitarra Valerio De Rosa, insegnante abilitato Modern Music Institute, e Renata Arlotti, fondatrice di Mousiké e docente alla London Performing Academy of Music. Per Valerio “dopo il Covid, persone di tutte le età che avevano sulla lista delle cose da fare quella di imparare a suonare uno strumento hanno capito che non aveva senso aspettare e temporeggiare”, mentre secondo Renata, “Anche se i ragazzi, grazie all’obiettivo esami, hanno sempre mantenuto una buona soglia di motivazione, è stata percepibile la loro gioia nel poter di nuovo suonare in presenza, specie per chi fa musica da camera. Noi professori, inoltre, avevamo bisogno di ritrovare completamente il nostro approccio che arriva a essere, per esempio nella correzione dell’impostazione, tattile”.
Tutt’al più è bene ricordare a tutti che la formazione musicale per così dire tradizionale è ora immersa “fin sopra i capelli” in un nuovo paradigma ibrido, online/offline.
Settembre e ottobre sono mesi di buoni propositi. Da un lato, essere musicista o, in generale, voler lavorare con la musica richiede una grande sete di conoscenza che va alimentata senza soluzione di continuità. Questo vuol dire ritagliarsi del tempo per approfondire privatamente gli argomenti e le tecniche che più ci interessano, approfittando anche delle tante opportunità che la Rete ci dà, per crescere in autonomia dalla propria “cameretta”. Vuol dire però anche investire ore e risorse (mentali ed economiche) sulla propria formazione, cercando di accedere a workshop e percorsi educativi in strutture d’eccellenza e con insegnanti autorevoli, anche e soprattutto dal vivo. Perché è proprio il condividere gli stessi spazi e le stesse esperienze che permette di migliorarsi più velocemente e in maniera più sostanziale.
D’altro canto, chiunque si occupi di educazione musicale, a qualsiasi livello, deve mettersi bene in testa che è necessario imparare ad abitare proficuamente in un tale ambiente sospeso tra online e offline. Il processo di scelta di un percorso di formazione avviene, in modo del tutto analogo a ciò che vale per chi cerca uno strumento nuovo, prima online e poi, in un secondo momento e nemmeno sempre, con una riprova dal vivo. YouTube e altre piattaforme possono essere grandi opportunità di visibilità e “atterraggio” di nuovi potenziali allievi.
Imparare a popolare questi luoghi digitali è fondamentale per chi porta dentro di sé la “vocazione” per l’insegnamento. Sono passati ormai quasi 20 anni dall’arpeggio di Guillaume Simon e non ci sono più scuse valide per procrastinare.