Christian Meyer: una vita per il ritmo

Christian Meyer: una vita per il ritmo

Iconico, divertente, appassionato. Christian Meyer, batterista per Elio e le Storie Tese, Trio Bobo, Drummeria e mille altri progetti ha parlato con noi di “iniziazioni”, qualià musicale, strumentazione e tanto altro, nell’anno in cui ha deciso di raccontarsi anche con Millefinestre di Ritmo, un’opera che raccoglie aneddoti autobiografici, partiture e videocorsi.

Ciao Christian e benvenuto su SMMAG! Partiamo dal tuo Millefinestre di Ritmo. Com’è stato raccogliere tanti anni di ritmi, versatilità stilistica ed esperienze della tua vita musicale precedente, anche con il “complessino”, in una pubblicazione? È stata una lunga gestazione?

Sì, una gestazione di diversi anni che si è avviata senza che ci fosse un vero progetto, per una spinta d’amore puramente batteristica, quando io insieme a Lorenzo Petruzziello ci siamo messi a scrivere le partiture di alcuni brani di Elio e le Storie Tese. Volevamo scriverle bene perché nel tempo ci eravamo resi conto delle tante richieste tra i ragazzi e anche perché non era mai stato fatto un lavoro definitivo e dettagliato sulle parti di batteria di certi pezzi. La cosa poi si è arenata fino a 4-5 anni fa, quando è arrivata la proposta da Marco Volontè, che è un editore e il nostro attuale distributore, per la creazione di un metodo. Io non voglio però fare metodi di batteria perché non mi reputo un didatta e la mia controproposta è stata quella di chiudere e integrare le partiture di EelST con degli esercizi eventuali dietro di esse. Le partiture vanno però impaginate su una carta particolare, a fisarmonica, devi poterle leggere senza girare pagina mentre sei alla batteria. Allora la Silvia (Silvia Delgrosso, manager di Christian, Ndr) ha detto “lo autoproduciamo e lo realizziamo come lo vuoi tu”. A questo punto è entrata in gioco una giornalista, che è intervenuta a correggere dei testi molto brevi scritti da me in passato e da lì è partito tutto un mondo nuovo, quello del libro, con il quale ho tentato di raccontare tutta la mia vita di batterista dando consigli ai più giovani. Con l’intento però di emozionarli, di dargli pathos, di farli appassionare, è questo che voglio fare. Poi però non è finita e sono anche arrivati i 70 video dei pezzi e degli esercizi, per un ”work in progress” che in totale è durato altri 4 anni. Non è un’opera esaustiva, nella quale racconto tutto quello che conosco. È però una grande fotografia della mia vita musicale, sono macchie di didattica, è in fondo la mia esperienza in un lavoro particolare.

Mi ha colpito anche  il fatto che il videocorso sia stato filmato totalmente con un iPhone. C’è anche forse un messaggio di inclusione musicale? Con un po’ di buona volontà, metodo e “do it yourself” si può insegnare il proprio strumento a tutti oggi?

Mi piace questa tua osservazione ed è proprio quello. Gli esercizi ripresi con l’iPhone 11 hanno una crudezza, una forma così diretta che non può essere paragonabile al registrare tutto bene in studio con la voce ben impostata. La lezione per me è bella quando è diretta, davanti agli occhi, col sudore visibile sulla fronte: vengo a casa tua e ti registro durante la lezione. Ne viene fuori un prodotto con un audio che non è per così dire “professionale”, ma mi piace perché fa passare via web e restituisce quell’energia e quell’elettricità che c’è solo a quattr’occhi, l’emozione del live. La lezione online non è mai facile, proprio perché c’è il filtro del computer. Con questo sistema l’abbiamo resa un pochettino più fruibile. 

In questo numero di SMMAG! stiamo cercando di indagare un po’ i “percorsi di iniziazione musicale”, ovvero come si passa dall’essere fruitori/ascoltatori di musica a parte attiva della comunità dei musicisti. Per te come è avvenuto il passaggio?

Sarebbe bello ci fosse un segreto per instillare nei ragazzi la passione per uno strumento. In famiglia siamo tre fratelli maschi e tutti e tre abbiamo avuto lo stesso imprinting musicale. Mio padre suonava la tromba e in casa giravano dischi e musica di qualità. Tutti e tre siamo superfruitori di musica, due di noi hanno tentato l’approccio a uno strumento - io alla batteria e il mio fratello minore al clarinetto - il risultato alla fine è stato questo: l’unico che fa il musicista e continua a suonare sono io, i miei fratelli sono ancora appassionatissimi ma non gli è scattato lo stesso amore per uno strumento. Se vai in una scuola a parlare di musica a 300 ragazzi, è già un grandissimo risultato raggiunto se riesci a convertirne 10 a uno strumento. Non c’è una regola o una formula magica, però è importante che tutti i ragazzi abbiano la possibilità di ascoltare buona musica, che ci siano negozi e ambienti musicali da frequentare, perché altrimenti non parte niente.

Pensi che oggi i nuovi media stiano avendo un’influenza sul modo in cui si sceglie lo strumento a cui appassionarsi e al quale dedicarsi?

Io penso innanzitutto che i nuovi media e i social sono comunque uno strumento utile per appassionare i ragazzi. Online ci sono nuovi tipi di veicoli e anche di musicisti, si è creata proprio una categoria di gente specializzata in quello, che su TikTok va fortissimo e fa vedere delle cose belle. Penso ad esempio a Estepario Siberiano, un batterista spagnolo che fa dei numeri pazzeschi. È un nuovo modo di fare musica, spesso soli in casa, e anche di stimolare altri ragazzi magari a entrare in un negozio e scegliere proprio quella strada. Quindi va tutto bene. Sono cambiati i modi e forse un po’ anche il ruolo dei musicisti. Certo, a mio avviso, la musica è bella quando la si suona insieme, la gioia di fare gruppo è molto più ampia rispetto a quella che puoi avere registrandoti per mesi e per anni da solo in un box. La musica vissuta insieme ti scalda il cuore e scalda anche di più il cuore di chi ascolta. Per me è un dato di fatto fisico, una band dal vivo sprigiona molta più energia. Poi comunque tutto va benissimo, io però sono tendenzialmente anziano e a sessant’anni parlo di cose da anziano, del suonare insieme e dei miei dischi preferiti che, tranne rari casi di ragazzini che fanno le cose da dio, non sono ahimè quelli di oggi.

Il tuo interesse per l’insegnamento è ormai di lungo corso - penso al progetto scuole. Ci racconti un po’ cosa può imparare un musicista dalle lezioni con i bambini in età scolare?

Non è facile entrare in sintonia con i bambini. Il grande insegnamento è allora proprio quello di acquisire la capacità di connettersi immediatamente a loro, imparare a tenerli concentrati sulla musica. Il musicista in fondo si sente un eterno bambino. Una cosa però è sentirsi bambini e un’altra è confrontarsi con loro sullo stesso piano. E poi c’è il fatto che sono delle spugne e, a livello di emozioni, ti restituiscono il triplo di quanto gli dai. Noi ci prepariamo tanto per costruire delle avventure e delle “iniezioni” musicali di un’ora e mezza. Ma poi alla fine loro sono “wooouuuh”, un’esplosione di energia che ti ricarica: è una delle cose più divertenti da fare come musicista, forse eguagliabile solo da una bellissima performance in teatro con il pubblico super attento.

Mettiamo da parte la formazione e parliamo un po’ della tua attività sul palco e in studio. Come è cambiato Christian Meyer come batterista nel tempo e quali consapevolezze ha conquistato negli ultimi 10 anni di attività?

La maggiore consapevolezza degli ultimi anni è stata più che altro sulla qualità musicale. Ho capito quanto è importante che la musica sia di livello alto. La batteria è un tassello di un progetto molto più grande e quindi ho scelto di entrare solo in progetti che per me abbiano musicalmente un valore, rifiutando magari situazioni potenzialmente anche più redditizie se, di fatto, non hanno una vera valenza. Per fare un esempio, se dovessero offrirmi di andare in televisione, rifiuterei nel caso in cui ritenessi che la trasmissione e il contenitore non sono adatti a servire la musica al pubblico su un piatto d’argento. Al contrario, sono felice di partecipare al progetto di due musicisti che magari non conosco, se all’ascolto mi trasmettono qualità. Lo dico molto chiaro nel libro: noi batteristi, senza una buona composizione, non siamo nessuno. Se non c’è dell’ottima musica, chi ti ascolta?

Pistola alla testa, saresti in grado di dirci quali pezzi o quale genere preferisci suonare ultimamente?

Quando la musica è fatta bene, per me smette di essere questione di genere. Se il jazz  è fatto come si deve, io godo e voglio suonare solo quello. Se il rhythm’n’blues è suonato da un bassista che spinge, con un cantante forte e dei brani composti alla grande, quello diventa il mio genere preferito. Lo stesso vale per il latin jazz, è la qualità della musica che mi permette di variare. Però, a domanda precisa… Io vorrei fare il batterista di Stevie Wonder. Vorrei suonare per sempre a loop il disco Hotter Than July, in particolare il pezzo As If You Read My Mind; con un tiro di batteria pazzesco, la sua voce che s’intreccia con i suoi accordi jazzistici che mi fanno morire. D’altra parte stiamo parlando di uno dei maggiori compositori del Novecento. 

Il tuo drumset Yamaha Oak Custom “Svizzera" è probabilmente tra i più iconici e riconoscibili in Italia. Quanto è importante l’estetica per un batterista, spesso nascosto al pubblico dai suoi stessi tamburi e piatti?

Va di pari passo con la caratura artistica. Sicuramente devi essere un buon musicista e avere spessore. Dopodiché abbinare anche l’estetica è fondamentale. L’ho capito nel tempo e, su questo, nei miei primi anni ho preso sberloni perché me ne fregavo altamente. Bisogna vestirsi bene quando si sale sul palco, proprio per dare lustro alla musica. Nella classica lo fanno sempre, nel rock amplificano ulteriormente il concetto. E aiuta molto anche uno strumento bello e vistoso, un ulteriore contributo a quella filiera che è lo spettacolo quando funziona bene, insieme all’audio, alle luci, ai tecnici, ai microfoni, ai materiali e a tutto ciò che è importante che giri come si deve.

Qual è il tuo rapporto con gli strumenti che vengono via via resi disponibili sul mercato? Provi molte cose nuove?

Solo per motivi di tempo, non riesco più a gustarmi il momento della scoperta, magari andando su internet a cercare un determinato marchio e a vedere se c’è qualcosa di nuovo in uscita. Sono stato però un grande appassionato di negozi. Per me non c’era niente di meglio di uscire, dopo i compiti, e darmi appuntamento con amici e altri musicisti nei negozi di musica e ritrovarmi in quello che era il mio ambiente naturale. Oggi non riesco a stare dietro le novità come vorrei. Per intenderci, io che sono Evans endorser ho scoperto dell’esistenza delle nuove pelli silenziate solo quando sono riuscito a passare dal Play! Music Store di Roma. E dire che sono anche un grande fan di queste pelli, che ti permettono di acquistare per casa una batteria acustica e non l’elettronica. Negozi di musica e di vinili sono sempre stati una mia grandissima passione e lo sono ancora. Per me sarebbe il massimo poter stare lì dentro per tre ore a spulciare tutto. 

Chiudiamo con tre suggestioni: un fill di batteria su cui secondo te dovremmo assolutamente concentrarci, uno strumento da provare e un biglietto di concerto da regalare al proprio amico batterista.

Puoi pensare il fill migliore della storia ma, se poi entra della musica scadente, perdi tutto. Invece magari un colpo dato bene, tu-tum, prima di un pezzo che è stupendo, una montagna, vale come superfill. Se dovessi citarne uno che appartiene alla storia, direi l’attacco di Dave Grohl su Smells Like A Teen Spirit. Però nel libro ho raccolto anche un po’ di fill meno conosciuti che sono una tranvata perché inaspettati. Esempio: disco Out of the Shadows di Dave Grusin, sul pezzo Last Train to Paradiso, Steve Gadd, il batterista, entra subito con un piatto stoppato che ti fa dire “cosa sta succedendo?”. Se poi dovessi dirti proprio il fill che avrei voluto pensare io e mi fa dire “voglio fare questo nella vita”, bisogna andare al disco Still Warm di John Scofield, al pezzo Protocol e ascoltare quello che combina il batterista, Omar Hakim. Per quanto riguarda lo strumento, io sono yamahista da tutta la vita e continuo a sorprendermi della qualità di tutto quello che producono. Non cambio mai i miei sponsor perché adoro quei marchi. Ad esempio l’ultimo pedale Yamaha (FP9D, Ndr), leggerino con le viti anodizzate blu, è bellissimo; l’ho provato una volta ed è straordinario. Per quanto riguarda il biglietto, nessun dubbio: andiamo a vedere Stevie Wonder prima che non abbia più l’età o la salute per fare live.