Di Marco Gino Costante
Più che un semplice musicista, Pietro Morello è un giovane in missione per conto della musica. Con lui abbiamo parlato di formazione, condivisione, pianoforte e tanti altri strumenti.
Si potrebbe cominciare con il dire che Pietro Morello è un musicista e tiktoker, classe ‘99 da Torino, con oltre 2 milioni e mezzo di follower tra TikTok e Instagram. Ma sarebbe il solito “dare i numeri” sui social che non racconta la verità di un ragazzo che, attraverso la musica, porta gioia ai bambini nei reparti pediatrici degli ospedali e in missione in tanti Paesi nel mondo. Gli abbiamo chiesto del suo percorso, della sua missione e tanto altro.
Ciao Pietro e benvenuto su SMMAG! Sappiamo che sei stato recentemente in Kenya. Cosa hai portato indietro con te da questa ultima missione umanitaria?
È stata una missione un po’ complicata: ero laggiù in tempo di elezioni, un periodo caratterizzato da violenza e molte difficoltà nel contesto delle baraccopoli. Considerando però che si lavora con i bambini, c’è sempre un grande incentivo artistico nella positività e nello star bene. Posso dirti perciò che mi sono portato dietro tantissima voglia di tornare lì e di proseguire, perché il feedback che danno i bambini davanti alla musica è assurdo, gratificante al 400%. Abbiamo scritto con loro una canzone, sulle note di Hai un Amico in Me, da Toy Story. Dato che abbiamo lanciato una sonda nello spazio con i bambini della baraccopoli - perché a noi piace fare le cose normali - l’abbiamo intitolata We Are the Smiley School (And we’re going to the Moon). I bambini non solo stanno imparando a cantare e suonare, ma pian piano si immergono anche nel mondo dell’espressione di se stessi, di quello che vivono attraverso la musica. Si sta facendo quello step in più che ti fa dire “Che figata!”.
La tua bio su IG recita “Faccio musica con i bimbi in ospedale e missioni umanitarie”. Quanto riesci oggi a raccontare queste esperienze profonde attraverso la tua attività da creator online?
I social sono un mondo particolare: da una parte c’è TikTok, dove mi seguono 2 Mln e oltre di persone e lì non passi praticamente messaggi umanitari, perché è un social più ludico. C’è però anche IG, che invece ti dà l’occasione di parlare un pochino di più di queste tematiche, di raccontarle meglio. Ovviamente sono relativamente pochi a recepire il messaggio, decine di migliaia, ma il messaggio li raggiunge con forza e loro me lo dimostrano con l'intensità delle loro risposte. Ho incontrato persone che mi hanno detto “ho iniziato a impegnarmi nel sociale perché ti ho seguito”, “ho iniziato a studiare musica perché mi hanno ispirato i tuoi video”. Sono gratificazioni immense. Si può fare, quindi.
Come si arriva al Pietro Morello 23enne di oggi? Raccontaci l’ambiente in cui sei cresciuto e le influenze più importanti nella tua formazione.
I miei genitori lavorano entrambi in campo educativo, sono due insegnanti. Mio padre è pedagogista, mia sorella anche è maestra, quindi ho sempre avuto questa impronta dell’insegnamento ai bambini. Non sono mai stato uno di quei ragazzi con le cuffiette sempre nelle orecchie, magari super mega appassionato di una band in particolare. Quando frequentavo le medie, ero molto soggetto a episodi di bullismo – la consapevolezza che si trattasse di bullismo è arrivata, come spesso succede, più avanti – e lì la musica mi ha salvato la vita. Più che una passione, è stata proprio un’alternativa. È stata quella cosa che facevo tutti i giorni, perché era quello che mi riusciva ed era quello che dovevo fare e far vedere a tutti. Io ero il musicista. All’inizio era quasi esibizionismo e pian piano si è trasformato in qualcosa di terapeutico: vedere quindi i bambini che reagiscono alla musica e che probabilmente grazie alla musica tornano a dare feedback e a reagire meglio alle cure in ospedale, allora ti fa dire “ce l’ho fatta io, non posso permettermi di non regalarla anche agli altri”. That’s my music!
Tra le mille cose che fai al giorno quanto tempo dedichi al pianoforte e allo studio di cose nuove sullo strumento?
Per fortuna lo studio è diventato parte integrante del fare i video, un unicum multifunzionale a cui posso dedicare tanto tempo. Ogni volta che devo fare dei video, mi incollo al pianoforte e imparo in funzione di quei video. Cioè alla fine è un gatto che si morde la coda, in positivo però. L’unico momento in cui non suono è quando monto i video; però in quel momento studio comunque musica: in fase di montaggio, ti tocca spesso e volentieri creare musica ad hoc, quindi ti ritrovi a esplorare nuovi modi, nuove forme, nuove frontiere musicali.
Milioni di utenti online conoscono soprattutto Pietro Morello come musicista immerso nello spazio domestico. Qual è invece la tua dimensione live?
I miei tour – ne ho appena fatto uno e ne farò un altro a fine 2022 – sono un po’ particolari, perché, non avendo studiato abbastanza da potermi definire capace, tecnico e quant’altro, non mi piace mettermi sul palco e fare musica e basta. Mi sento un po’ in preda alla sindrome dell’impostore: “perché io sono qui e altri musicisti più bravi di me no?”. E allora parlo di questo. I miei concerti sono racconti, monologhi, parlo dei bambini, delle mie esperienze nelle missioni umanitarie, degli ospedali e di come la mia musica nasca proprio in funzione della mia non bravura tecnica. Mi piace tantissimo il live, anche più del fare video, potrei farlo all’infinito.
Tra strumenti che scopri e fai scoprire, come descriveresti la tua relazione con gli strumenti musicali?
È particolare: per me gli strumenti musicali sono una scoperta sempre nuova. C’è sempre quello che non hai mai provato, il didgeridoo magari che non hai mai avuto tra le mani. Gli strumenti sono un’espressione di sé e ognuno deve trovare un pochino il suo. Ma ogni strumento musicale ha la potenzialità di trasmetterti emozioni pazzesche. Andare poi a ricercarle in oggetti strani ovviamente è un gioco, ma ti fa capire che chi mette barriere alla musica è un idiota. E lo dico conscio del fatto che mi prendo sassate ogni volta per questo: l’esecuzione musicale è anche tecnica, però la musica no. La musica non è tecnica, la musica è vita, sentimento, cuore. Poi bisogna eseguire bene. Anche un carpentiere se non studia come mettere bene lo stucco, poi lo mette storto, però la voglia di costruire è un’altra cosa. Ecco la musica è la voglia di costruire, la tecnica è farlo con i muri perfettamente dritti. Però la voglia viene da dentro a prescindere dalla tecnica.
Il concetto di collaborazione è fondante sia nel mondo musicale che dei social. Quale tipo di collaborazione cerchi? Abbiamo ancora la speranza di vedere Madame in casa tua interrotta dal vicino?
I contatti valgono più dei soldi e vogliono dire interagire, mettersi in gioco e scoprire. Perciò, come forma di collaborazione mi interessa qualunque cosa. Magari non tutto è una svolta per la tua vita, ma ti permette comunque di capire e osservare come e quando gli altri creano. È così che poi si capisce come sviluppare la propria idea, guardando gli altri. E poi che con Madame si torni sul palco di Sanremo o si resti in cameretta chissà, ma questo vale veramente per chiunque. A me piace passare il tempo anche con un botanico che passa le sue giornate a spolverare foglie di una pianta grassa. Perché lo fa? Perché lo calma e quasi quasi calma anche me. Collaborare ti salva la vita. Una vita passata senza collaborazioni è una vita vissuta meno della metà.
Chiuderei chiedendoti tre consigli: un creator che si occupa di musica da seguire, uno strumento da scoprire e una canzone da ascoltare.
C’è un creator musicale straniero che mi piace tantissimo e si chiama Nicolas Bras. Anche lui costruisce strumenti musicali dal niente tirando fuori dei pezzi d’arte allucinanti. Senza conoscerci, siamo arrivati a fare cose molto simili. L’ho scoperto infatti molto dopo aver iniziato anche io e mi son detto “Wow, grande personaggio!”.
Per lo strumento, pochissime persone conoscono a fondo la fisarmonica. Tutti noi sappiamo cos’è e ne abbiamo vista una dal vivo, ma pochissimi l’hanno sentita suonata come Dio comanda. Senti Brahms alla fisarmonica su YouTube e ti dici “Cosa? È così bella!” e ti innamori follemente dello strumento. Di brani ce ne sarebbero tanti di cui sono follemente innamorato, ma sarebbe uno sparare sulla Croce Rossa, tra Lucio Dalla e altri grandi. Ti menziono invece "Calm Down" di Rema, un artista nigeriano che ha spaccato con quel pezzo lì. Anche se non ho pensato al primo ascolto “è bellissimo”, me lo hanno fatto scoprire i bambini in missione. Quindi ora mi è rimasto talmente dentro che, se lo ascolto, dico “Che figata!”, un bel brano, prodotto bene e secondo me, anche armonicamente parlando, c’è.