Dall'emulazione alla personalizzazione, il viaggio esistenziale del musicista, alla ricerca di se stesso, del proprio suono e dei propri strumenti. Un romanzo di formazione che ci accomuna e ci rende, col tempo, singolarità da valorizzare.
"Questo è il mio strumento. Ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio. Il mio strumento è il mio migliore amico, è la mia vita". Gli amanti di Kubrick e di quel capolavoro che è Full Metal Jacket (1987) avranno sicuramente riconosciuto la "preghiera" qui parafrasata. Perché sì, se per i Marines del sergente maggiore Hartman il fucile è estensione della personalità del soldato, è altrettanto vero che lo strumento musicale è identità stessa per il musicista che lo sceglie e suona.
Tale principio, vero in fondo dalla prima volta in cui si imbraccia uno strumento, muta sensibilmente nel tempo a livello di sfumature di significato. Identificarsi, infatti, non vuol dire la stessa cosa a 17 come a 34 anni. Tutti noi, amanti della musica e degli strumenti musicali, abbiamo un destino comune: vivere un viaggio, contemporaneamente umano e artistico, dal momento in cui decidiamo - o subiamo la decisione - di dedicarci alla pratica di uno strumento, fino all'ultima nota che suoneremo sullo stesso.
E il primo passo, occorre dirlo, non è dei più originali. Theodor Adorno, filosofo e musicologo tedesco del primo Novecento, sosteneva che "l'umano è nell'imitazione; un uomo diventa tale solo imitando altri uomini". Il percorso del musicista non a caso inizia quasi sempre proprio dall'idolatria per una band o un musicista in particolare. Questo fenomeno, tipico dell'adolescenza musicale, riceve spesso attenzioni da chi si occupa di moda, costumi e movimenti giovanili. Quante chiacchiere sui punk, sui dark, sugli emo, sui paninari si sono spese negli scorsi decenni in ltalia?
Tali dinamiche di imitazione però agiscono anche a un livello più profondo e sostanziale. Sono il motore di una passione che, per moltissimi, dura una vita. Non solo, perché sono anche una guida per una prima scelta strumentale che non sarebbe, altrimenti, affatto semplice. Paradossalmente, quelle dinamiche risultano essere la prima scintilla di creatività. Una scintilla che, nonostante le stratificazioni successive, lascia sempre traccia nel musicista, un'abrasione originale che ciclicamente torna.
E così, tutti abbiamo l'amico chitarrista metallaro che, a suo tempo, ha scelto una Dean perché in fissa con Dimebag Darrell o quello con i poster di Kurt Cobain in camera che è di-sposto a dare un rene per una Fender Jaguar. E ovviamente il discorso non vale solo per i chitarristi. Tipicamente nella vita si incontra almeno un batterista innamorato di John Bonham che porta in giro un drum set Ludwig Vistalite, un bassista fan di McCartney con il suo Hofner HS00/1 e tanti altri.
Comprensibilmente i produttori di strumenti musicali conoscono bene e assecondano questa tendenza, andando incontro alla domanda con tantissime serie Signature e riproduzioni a diverse fasce di prezzo. Spesso e volentieri, anche nel presentare nuovi modelli da un punto di vista del marketing, si calca molto sulle somiglianze e sui riferimenti a "vecchie glorie" delle proprie produzioni. Lo strumento per il quale forse si nota di più questo fenomeno è il sintetizzatore. Ovviamente possedere i primi straordinari synth modulari o anche i grandi classici monofonici e polifonici degli anni '80 è improbabile, scomodo, antieconomico. Sono tanti però i nuovi modelli rilasciati in questi anni che vengono esplicitamente esaltati innanzitutto per la loro brillante riproduzione dei suoni degli originali. Così per esempio, il Roland Jupiter X, uscito nel 2020, è stato innanzitutto apprezzato ed esaltato per le sue possibilità nel ricreare le polifonie, per esempio, del Jupiter-8, il synth utilizzato - per citarne uno - da Nick Rhodes dei Duran Duran. Ma un discorso del tutto analogo si potrebbe fare per tanti altri modelli, come il Korg MS-20 mini che ricrea e torna a offrire la circuitazione leggendaria del 1978, già resa celebre dai lavori dei The Prodigy e dei The Chemical Brothers.
È in fondo la stessa logica che domina il film Air (2023, regia di Ben Affleck) e che il protagonista interpretato da Matt Damon sposa dopo aver visto uno spot televisivo con il tennista Arthur Ashe: "questa è la racchetta con cui ho vinto Wimbledon e voi avreste potuto comprarla. Perché, vedete, la Ash Comp 2 viene direttamente dalla fabbrica".
Nella prima fase del viaggio di un musicista, poter arrivare a quello strumento in particolare e a quei determinati effetti, prodotti in maniera seriale e quindi a prezzi accessibili, ha una grandissima valenza. Vuol dire accedere, in un momento in cui la personalità artistica non è ancora formata, a quelli che si immaginano essere i segreti e i punti di forza dei nostri miti. Certo, "una scarpa è solo una scarpa finché Michael Jordan non la indossa", ma che grande motivazione può essere per un ragazzo o una ragazza potersi sentire per un attimo, nel proprio piccolo, alla pari con il proprio idolo?
È poi importante che questa prima fase del viaggio, pur naturale, fondamentale e assolutamente positiva per i giovani musicisti, non diventi un capolinea. Il troppo stroppia, si sa. E allora cristallizzarsi in via esclusiva su un solo modello finisce per rendere alcuni musicisti vittime di una sorta di "feticizzazione musicale", che chiude la mente e pregiudica il proseguimento del proprio percorso di crescita.
Una nuova tappa di solito prende le mosse dal confronto con i propri compagni di band o, comunque, con gli altri musicisti del proprio giro. Si moltiplicano gli ascolti e le "campane" a cui dare retta e questo non può che essere un bene. Contemporaneamente, generalizzando, si va avanti anche con il proprio percorso di vita: arrivano i primi lavoretti, i primi live, i primi rimborsi spese e stipendi.
Inizia una lunga stagione di investimenti e sperimentazioni. Nuove pelli, nuovi pick-up, nuovi plug-in, nuove corde, nuovi ampli, nuovi microfoni. I musicisti diventano accumulatori seriali e, talvolta, "traslocatori". Ogni live richiede lo spostamento di 20 volte il proprio peso in strumenti da una location a un'altra. Per i musicisti, questa è tipicamente anche l'era geologica delle customizzazioni "fai da te", con tanto di scassi, trapanamenti e altri discutibili interventi. È una fase per certi versi controversa, piena di ripensamenti, ma anche stimolante ed entusiasmante, perché caratterizzata da continue scoperte. I più attenti imparano a riprodurre i suoni anche di dieci, quindici o più musicisti di riferimento, divertendosi a creare i propri personalissimi blend.
Ovviamente, quando ci si mette in gioco, diventa più facile sbagliare, investire sullo strumento meno adatto alle proprie caratteristiche personali, sperperare un po' del proprio tesoretto. Paradossalmente, è più comune assaggiare il sapore amaro della frustrazione in questa fase del viaggio, piuttosto che quando si è ai primi passi. La notizia positiva è che ci sono davvero pochi errori irreversibili nel mondo degli strumenti musicali. I marketplace dell'usato sono sempre lì, pronti a trarre d'impaccio, raccogliendo il nostro strumento sbagliato e consegnandolo, al prezzo giusto, a chi ne avrà buona cura e saprà farne migliore utilizzo.
Il consiglio rimane comunque quello di imparare a minimizzare gli errori. Per farlo, è fondamentale investire (innanzitutto il proprio tempo) anche in formazione e non solo nel senso più classico e circoscritto del termine. La chiave è saper riconoscere i consigli - dal vivo o sul web - delle persone più competenti. Quelle che sono più avanti di noi nel viaggio e sono perciò in grado di mostrarci gli aspetti a cui dare maggiore attenzione, strumento per strumento.
È bene però anche fidarsi della propria esperienza, alimentarla e averne rispetto. Non tutte le decisioni possono essere prese per sentito dire. Il viaggio, con o senza intoppi, dev'essere quanto più personale possibile. È il bagaglio di cultura musicale e tecnica a rendere ogni musicista unico. Gli strumenti, col tempo, ne diventano naturale conseguenza.
Quando si arriva a questo livello di consapevolezza, inizia la fase della sintesi, quella che accompagna il musicista maturo per tutta la sua esistenza artistica. I chitarristi arrivano spesso alle serie custom, facendo scelte funzionali alla propria idea di spettacolo e arte su tutta la linea: legni, ponti, capotasti e tastiere, humbucker o single coil, e tanto altro. Niente viene lasciato al caso, perché in fondo si è provato abbastanza da conoscere a menadito i propri gusti e le proprie esigenze. Non mancano poi ritorni all'essenziale, a vecchi modelli di chitarre ed effetti, magari conosciuti agli inizi, che possono ora però essere interiorizzati e resi autenticamente propri.
È a questo punto che può entrare in gioco anche la liuteria o, in generale, l'artigianato dello strumento, per il quale l'Italia rimane un punto di riferimento mondiale. Il dado è ormai tratto e il musicista parla la stessa lingua, o quasi, dei maestri artigiani. Dallo scambio tra le due figure nascono nuove forme e nuovi suoni che contribuiscono, a pieno titolo, alla creazione di spettacoli totalmente inediti.
Il musicista maturo può così ritrovarsi a guardare ai più giovani e, con un pizzico di nostalgia, rivivere con la mente il proprio viaggio tra identità e strumenti musicali. Soprattutto può farlo sapendo di aver trovato, anno dopo anno, la propria strada. Un po' come in quel grandioso ritornello finale, reso leggenda-rio da The Voice, Frank Sinatra: "But through it all, when there was doubt I ate it up and spit it out. I faced it all, and I stood tall And did it my way".